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Δευτέρα 27 Ιανουαρίου 2014

Mussolini scrive a Roosevelt


Questa lettera inedita di Mussolini a Franklin Delano Roosevelt è un importante documento storico per molte ragioni. Anzitutto è l' unica lettera che Mussolini abbia inviato al presidente americano ed è un messaggio privato e riservato con toni di grande cordialità. è stata inviata il 24 aprile 1933, esattamente nel cinquantesimo dei mitici Cento giorni (Roosevelt si insediò alla Casa Bianca il 4 marzo) che segnarono l' esordio innovatore del New Deal, e risponde al vivo interesse che il gruppo di autorevoli collaboratori del presidente (il Brain trust) aveva subito mostrato per le iniziative prese dal governo italiano per fronteggiare le ondate delle grande crisi economica del 1929 (nel gennaio 1933 era stato creato, ad esempio, l' Iri). Roosevelt e i suoi collaboratori (in particolare i professori universitari Rexford Tugwell e Raymond Moley) erano alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il "mercato" capitalistico, anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva. Ma anche il capo del fascismo italiano guardava al programma del New Deal con grande attenzione sia per le iniziative concrete (le leggi, i codici, gli istituti messi immediatamente in atto dall' amministrazione americana), sia per lo spirito con cui Roosevelt
sgomberava il terreno dai miti del liberismo, della ricchezza fine a se stessa, del benessere artificiale. Il 7 luglio dello stesso 1933 Mussolini pubblicò per l' Universal Service (un' autorevole agenzia giornalistica americana) un articolo, Roosevelt e il sistema, dove, riferendosi al libro appena pubblicato del presidente americano, Looking forwards (tradotto quasi contemporaneamente dall' editore Bompiani col titolo Guardando al futuro), esprime ammirazione per come Roosevelt si era liberato "dai dogmi del liberalismo economico". E aggiungeva: "Molti si sono domandati, in America e in Europa, quanto "fascismo" ci sia nella dottrina e nella pratica del Presidente americano". Una domanda cui Mussolini e i newdealisti cercheranno di dare una risposta in numerosi interventi pubblici e privati fino al tutto il 1934 quando l' impronta democratica di Roosevelt cominciò a dare un significato diverso all' orizzonte politico e ideale che si era aperto negli Stati Uniti. Ma, ancora nel 1934, Mussolini scrisse articoli sull' America che tentava di uscire dalla crisi per l' Universal Service e per il Popolo d' Italia e, dal canto suo, Roosevelt inviò Rexford Tugwell a Roma per incontrare Mussolini e studiare da vicino le realizzazioni del fascismo. Tugwell lasciò in un diario inedito questo giudizio sotto la data 22 ottobre 1934: "Mi dicono che dovrò incontrarmi col Duce questo pomeriggio... La sua forza e intelligenza sono evidenti come anche l' efficienza dell' amministrazione italiana. è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Mi rende invidioso... Ma ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o forse no". La lettera di Mussolini a Roosevelt e il dono delle riproduzioni dei codici di Virgilio e Orazio (un regalo elegante e ben accompagnato dalle parole del capo del governo) furono molto graditi dal presidente americano. Il ministro Jung e la delegazione italiana, sbarcati a New York il 2 maggio dal "Conte di Savoia", furono ricevuti il giorno dopo alla Casa Bianca. Anche la delegazione americana era al più alto livello. Nel dispaccio inviato il giorno stesso a Roma, Jung scrive: "Ho presentato al Presidente la lettera del Capo del Governo e i due codici Laurenziani recati in dono. Una ed altri furono altamente apprezzati da Roosevelt che dice di essere bibliofilo. Egli risponderà a S.E. Mussolini e rimpiange di non saperlo fare in italiano". In verità, il testo in inglese della lettera di Mussolini conteneva qualche lieve imprecisione. Ad esempio Mussolini avrebbe dovuto chiamare codices e non manuscripts le riproduzioni di Virgilio e Orazio, e scrivere nella chiusa la parola "stima" non exsteem, ma esteem. Vi è anche un lapsus subito corretto: le "opere poetiche" erano inizialmente "opere politiche". Ma questo non toglie nulla alla eccezionalità di questo documento, custodito in copia nell' Archivio Jung e il cui originale, come il diario inedito di Tugwell, si trova nella Roosevelt Library. Il lapsus sottolinea infatti il senso fortemente politico che Mussolini intendeva dare alla missione Jung. Roosevelt la pensava allo stesso modo: il New York Times e i giornalisti della catena Hearst pubblicarono foto del presidente con accanto Jung e dietro, in piedi, il Brain trust quasi al completo. Il senso politico, e ideologico, era certamente dentro il problema della grande crisi capitalistica, ma nello stesso tempo ne diventava autonomo se si pensava alle tensioni ideali che in quelle ore serpeggiavano nel mondo. Solo tre mesi prima Hitler aveva preso pacificamente il potere in Germania e in Estremo Oriente il Giappone militarista e autoritario apriva un orizzonte di incertezza angosciosa per il destino degli Stati Uniti. Nel corso dei colloqui, Jung e Roosevelt parlarono anche dell' incognita Hitler sapendo entrambi che Mussolini aveva scarsa simpatia per il nazismo e il suo capo. La prospettiva che si stava delineando era dunque questa: gli Stati Uniti e l' Italia erano in quel momento gli unici paesi capitalistici al mondo che sul terreno economico, sociale e politico cercavano una "terza via". La Francia era ancora lontana dal Fronte popolare, i governi laburisti inglesi erano inchiodati dalle strategie e dagli obblighi dell' impero, la Spagna, da poco repubblica democratica, era incerta sul da farsi. La scelta dell' intervento dello Stato in economia e per la sicurezza sociale, avviata dall' Italia, non poteva quindi lasciare indifferenti i riformatori progressisti americani. Mussolini ne era talmente convinto che si fece anche divulgatore, attraverso un lungo articolo dedicato a un libro tradotto in italiano del ministro più di sinistra del governo Roosevelt, Henry Wallace (con cui aveva esordito nel 1934 la casa editrice del giovanissimo Giulio Einaudi), pieno di elogi e di apprezzamenti. Appena un anno dopo era tutto finito.

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